Lavorare è meno noioso che divertirsi.

16 07 2008

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All’attenzione dell’ Ufficio del personale.

Buongiorno.

Mi chiamo Giovanni Dischiena, volevo chiedere a Voi, o a chi di dovere, se per caso mi volevate assumere.

Nel caso di no fa lo stesso.

Nel caso di sì, sappiate che in Agosto vado in vacanza.

Sappiate che sono molto veloce a imparare, e altrettanto veloce a disimparare, sotto influssi negativi dati dall’eventuale mobbing.

Hoi sentito parlare molto bene della vostra azienda, soprattutto per quanto riguarda aspetti talmente complessi delle realtà aziendali che non mi sovvengono le parole adatte.

So usare il computer, e guido un eventuale motorino nel caso gli uffici siano distanti gli uni dagli altri.

Nel caso Voi, o chi per Voi, mi assumiate, sappiate che non potevate certo trovare di meglio, anzi, sappiate che probabilmente farò carriera nel Vostro Interno.

Ho trovato il vostro indirizzo in un giornale in un bar, indirizzo che mi ha portato precipitosamente a compilare questa mia lettera di accompagnamento.

Ho avuto molte esperienze di lavori precedenti al posto che mi riserverete alla fine di questa mia lettera di accompagnamento. Ad esempio, ho lavorato per quasi un anno in un’azienda del vostro stesso settore, quasi ai vertici, per quasi un anno.

Ho frequentato Milano e le sue scuole.

So, tendenzialmente, distinguere il bene dal male e da tutti i suoi derivati.

Amo la lettura, la poesia, la filosofia, la musica, l’arte, il giardinaggio e il carp-fishing.

Quando Voi o chi per Voi mi assumerete, vi prego di dedicarmi una scrivania con una superficie di almeno 2 (due) metri quadri, per una questione prettamente architettonica.

Ho la patente di serie B.

Attendendo una vostra cortese risposta, allego tutti i miei saluti, e vi auguro una felice giornata, consapevole del nostro ormai prossimo rapporto professionale.

Distinti saluti.

Giovanni Dischiena

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Monolitic me.

26 05 2008

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Cosa cazzo siamo diventati?

Che non ci piace niente fuori dall’involucro che ci contiene, che quello che ci piace è un prodotto da mostrare in una vetrina, che quello che ci piace è così facile e presuntuoso che diventa argomento di discussione in cui noi, autoeletti sovrani, pontifichiamo per il nostro piccolo quarto d’ora di celebrità – che il nostro nulla è più importante del nulla degli altri, che l’individualismo è giustificato dal banale concetto di qui e ora?

Cosa cazzo siamo diventati?

Che non si legge o non si guarda o non si vede niente al di là delle righe, delle tele, dei muri, degli schermi, del mezzo? Che assorbiamo solo la superficie delle cose? Che amiamo solo la superficie delle cose? Che succhiamo bucce e gettiamo i frutti e i semi nell’umido?

Cosa cazzo siamo diventati?

Che siamo costretti dall’inconsapevolezza del sabato? Del tempo?
Che siamo qui e ora, ubriachi da far schifo, a crederci liberi – quando la sbronza è solo la cartolina della “libertà”? Cosa cazzo siamo diventati? Contenitori di chimiche reazioni indotte dalla noia?

Cosa diventeremo?

Che ci impegnamo a fare voli e non abbiamo le ali?
Che non regaliamo niente e non riceviamo niente? Che si dice IO e mai NOI?
Che si dicono sempre le stesse cose?

Che il tempo passa e tutto muore?

Che siamo qua, in centinaia di individui soli, e io non voglio neanche sapere se c’hai mai pensato?

Cosa diventerete dopo qui e ora?

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Così è.

10 05 2008

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Così è.

Tutta la gente si gira a guardarlo, e io e noi ci uniamo a loro, stringendo i nostri coca e rum, i nostri negroni e i nostri bacardi breezer come scudi.

Il vecchietto ha creato un cerchio perfetto di vuoto dove prima stavano ammassati gruppi eterogenei di persone a parlare ad altissima voce, quasi sbraitando e ridendo più coi denti che col cuore, a dira tutta, appena un decibel sopra la musica sparata dalle casse.

Il vecchietto, ora che è lì in mezzo, è pienamente visibile in tutta la sua patetica compostezza: stringe una spada di cartone, e sotto l’armatura di cartapesta viola e gialla una tenuta estiva di tutto rispetto, una canottiera slabbrata che fascia un’epa flaccida e grinzosa.

Ma quello che tiene distanti le persone è lo sguardo: due monete d’oro, scintilanti, che attraversano i debolissimi atteggiamenti difensivi e il fumo delle sigarette e il vetro dei bicchieri e il profumo, e gli orecchini, e le scollature, e le belle macchine, e le scuole, e il segreto degli amanti, e i brividi della cocaina, e il pensiero delle vacanze, e la fatica del lavoro, e la malattia della nonna, e le frequenze troppo regolari della house, e i ricordi della fidanzata, e il gel sui capelli, e il piercing nascosto nel sesso.

Quel vecchietto ci osservava come un puma osserva la preda, nascosto nella penombra. Anche le voci di chi è rimasto dentro il locale, al fianco del gruppo compatto di gente, si affievoliscono e diventano eco scalfita da quei due occhi, tremendi quanto rigidi e veri.

Il vecchio alza la spada verso il cielo, o meglio, verso il tetto del portico, e il silenzio è glaciale e sembra davvero di essere nel vuoto del cosmo.

Il vecchio cavaliere dice, con voce grigia e morbida:

“Dobbiamo rivalutare il Progressive Metal”.

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Tutti i presenti, dopo che il vecchietto si disperse nelle vie dietro il locale, furono convinti che, quella sera, a Casalpusterlengo, fosse passato un angelo.

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Il sabato del villaggio.

3 04 2008

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Nella piazza del mio paese, potenzialmente c’è il gelato.

C’è anche una chiesa abbastanza grossa, la cui ala destra è al momento occupata da una mostra di quadri difficilmente accomunabili se non per provenienza degli artisti (ovvero il paese stesso) e per una presunta matrice cattolica delle opere, tra l’altro spesso glissata in favore di paesaggistica più salubre, o astrattismo ornamentale.

Fuori ci sono due chioschi coloriti da bandiere: sono la squadra rossa e la squadra verde. Queste due squadre sono la politica.

Nella piazza del mio paese, ci si accorge subito quando arriva la politica. C’è un tipo di odore che la contraddistingue, ma forse, mi dico, saranno i campi.

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