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Così è.
Tutta la gente si gira a guardarlo, e io e noi ci uniamo a loro, stringendo i nostri coca e rum, i nostri negroni e i nostri bacardi breezer come scudi.
Il vecchietto ha creato un cerchio perfetto di vuoto dove prima stavano ammassati gruppi eterogenei di persone a parlare ad altissima voce, quasi sbraitando e ridendo più coi denti che col cuore, a dira tutta, appena un decibel sopra la musica sparata dalle casse.
Il vecchietto, ora che è lì in mezzo, è pienamente visibile in tutta la sua patetica compostezza: stringe una spada di cartone, e sotto l’armatura di cartapesta viola e gialla una tenuta estiva di tutto rispetto, una canottiera slabbrata che fascia un’epa flaccida e grinzosa.
Ma quello che tiene distanti le persone è lo sguardo: due monete d’oro, scintilanti, che attraversano i debolissimi atteggiamenti difensivi e il fumo delle sigarette e il vetro dei bicchieri e il profumo, e gli orecchini, e le scollature, e le belle macchine, e le scuole, e il segreto degli amanti, e i brividi della cocaina, e il pensiero delle vacanze, e la fatica del lavoro, e la malattia della nonna, e le frequenze troppo regolari della house, e i ricordi della fidanzata, e il gel sui capelli, e il piercing nascosto nel sesso.
Quel vecchietto ci osservava come un puma osserva la preda, nascosto nella penombra. Anche le voci di chi è rimasto dentro il locale, al fianco del gruppo compatto di gente, si affievoliscono e diventano eco scalfita da quei due occhi, tremendi quanto rigidi e veri.
Il vecchio alza la spada verso il cielo, o meglio, verso il tetto del portico, e il silenzio è glaciale e sembra davvero di essere nel vuoto del cosmo.
Il vecchio cavaliere dice, con voce grigia e morbida:
“Dobbiamo rivalutare il Progressive Metal”.
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Tutti i presenti, dopo che il vecchietto si disperse nelle vie dietro il locale, furono convinti che, quella sera, a Casalpusterlengo, fosse passato un angelo.
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